“La volete una notizia? Fate una foto alla nebbia, che qui non l’avevamo mai vista!” All’angolo della strada si materializza la macchina del professore, è piena di alunni e di sorrisi. Tutti quelli a bordo hanno la sciarpa del Cosenza calcio al collo annodata proprio come la porta lui, ha l’ora libera e li accompagna a farsi il panino. Siamo arrivati a Lauropoli di Cassano allo Ionio, dove c’è una scuola senza mura.
(riprese di Matteo Dalena)
Questo posto per noi è un lassù, si percepisce quando si lascia la Calabria verso la Puglia o la Basilicata, ma non ci si passa. Per i più, fra Sibari e Castrovillari è come se vivesse qualcosa di misterioso. Eppure quest’area, in timida linea ai grandi fasti magno greci, è la maggiore area produttiva della regione più povera d’Italia; adagiata sulla più vasta pianura calabrese, contiene tutte le contraddizioni del modello di sviluppo dominante. Anche operosamente vivono poveri, poverissimi, sottoproletari. Ci sono anche gli schiavi. Al fronte del potere egemone di una criminalità violenta come poche, la risposta sociale più forte la dà la scuola. Sola. Perché umiliata, sottodimensionata, mal finanziata. Domani, giovedì 6 febbraio 2014, in un clima di lutto cittadino ci saranno i funerali di Cocò Campolongo, il bambino di tre anni che poco distante da qui a metà gennaio è stato ucciso con due colpi di pistola alla nuca e poi dato alle fiamme nella macchina del nonno, legato al seggiolino sul sedile posteriore al cadavere di altri due adulti. Un caso che ha sconvolto l’Europa, un evento di cui i ragazzi parlano fra loro, di cui sanno e capiscono molto di più di quanto si immagina da fuori. Un bimbo lo ammazzi se hai paura che ti possa riconoscere, si bisbiglia nei corridoi. Attorno alle loro case in questi giorni continueranno a gravitare lampeggianti e telecamere, persino politici. Difficilmente saranno percepiti come presenze amiche, poiché ai loro occhi nulla danno e tutto prendono. Anche il battaglione della salvezza barricato ai libri di testo li scambierebbe volentieri con un maestro e un volontario in più per la loro guerra quotidiana. Perché passa un po’ di tempo e, quando il clamore degli eventi lascia i posti della cronaca, quello che resta è il disagio sociale che l’ha generato e che ne genererà ancora. E chi resta a combattere sul territorio rimane a farlo da solo.
Il sabato mattina passato nell’Istituto Comprensivo “Troccoli” dimostra chiaramente invece quanto l’esercito dell’educazione sia l’unico capace davvero di tracciare un’alternativa di vita ai bambini del posto, di renderli capaci di una scelta. Parliamo di un istituto comprensivo con 90 docenti e 735 alunni chiamati anche a dare risposte ai problemi di integrazione, visto il miscuglio di culture e di etnie che, stanzialmente o in modo stagionale, cercano di sopravvivere in una zona che continua a conservare la propria vocazione al duro lavoro nei campi.
LA PRESIDE Nel polo distaccato di Doria c’è stato un guasto ai termosifoni e la dirigente scolastica Emilia Amalia Mortati ha appena finito di domare un nutrito gruppo di genitrici. Dallo Stato vorrebbe più insegnanti, risorse per tenere il più possibile stretti nell’abbraccio dell’educazione i bambini. Mentre i più si orientano alle eccellenze, il suo impegno è quello di non lasciare indietro nessuno,e in questa direzione ci spiega quanto importante sia stato aprirsi alla collaborazione con le associazioni del territorio. Illustra l’importanza dei maestri di strada, spiega cosa sia voluto dire nella lotta all’abbandono scolastico abbattere le mura dell’istituto, permettendo ai maestri di muoversi per il paese anche durante l’orario scolastico. I mezzi sono pochi; non c’è una volta in cui finiamo in una scuola pubblica italiana in cui non parlino dell’ecatombe iniziata con il decreto Gelmini del 2008, ma non per questo ci si arrende. A volte un bambino può imparare anche assistendo le faccende alla posta o dal salumiere. La battaglia in questo senso è quotidiana, le sconfitte inevitabili, ma sono quelle poche volte che vinci a dirti che ne vale la pena. C’era un ragazzo particolarmente difficile, respinto da numerosi istituti, ad esempio. Dopo un periodo difficile di ambientamento in cui non lo si riusciva a separare dal coltellino, ora frequenta il Troccoli con risultati incoraggianti, ma soprattutto passa ogni mattina nell’ufficio della preside a salutare. Gli occhi emozionati di questa donna ci fanno capire che nessuno stipendio potrebbe valere più di quel “buongiorno”.
IL SOSTEGNO Manuela Magnelli è fra le più giovani, insegna nel sostegno, il settore decisivo per istituti chiamati a dare risposte educative in aree difficili. Se si rialza chi ha meno possibilità di farlo, ci si rialza tutti. Arriva da Castrolibero ogni mattina e ci fa da Cicerone nella struttura. La sala di musica e quella di informatica ospitano i progetti pomeridiani, la sala professori anche la biblioteca. C’è la classe da controllare, andiamo in presidenza. Giacinto Ciappetta a dispetto dell’età è il senatore delle medie, insegnante di recupero anche lui, e poi vicepreside. E’ di Cassano e questo dà inevitabilmente un significato più profondo al suo impegno quotidiano. Ci mostra con orgoglio la messa in sicurezza dell’istituto e i lavori che verranno fatti con i prossimi stanziamenti del ministero, ma è soprattutto soddisfatto per i dati sulla dispersione e l’abbandono scolastico: sono ancora significativi, ma negli ultimi anni sono stati drasticamente ridimensionati. Assiste ai destini dei ragazzi fuori dall’istituto, quando la scuola ormai non può fare più niente per loro perciò ci spiega al dettaglio l’importanza di un presidio del genere in un posto che offre il poco o il nulla come alternative. Ogni minuto sottratto alla strada può essere quello decisivo. L’offerta formativa dovrebbe essere sempre sempre più personalizzata, ma i fondi non ci sono e si fa il possibile in gruppo, si va anche nel quartiere, a parlare con le famiglie dei ragazzi che non frequantano. A corredo delle tante sconfitte anche lui si emoziona per un alunno che ha seguito fra mille difficoltà, ci racconta di quando gli ha scritto su Facebook per dirgli che oggi lavora e che ha famiglia. Sembravano uno grato all’altro, in uguale misura.
MAESTRO ULTRA’ Di ora in ora suona la campanella e ci avvia all’uscita. Sulle ultime cose che vediamo ci sarebbe da scrivere un libro. Claudio Dionesalvi, al di là della mala ne presenterà l’ennesimo nella sua Cosenza venerdì. Giornalista, ultrà e attivista politico, fa il maestro senza fermarsi un attimo fra i banchi e nei corridoi e oltre ancora, perché spiega che la chiave dell’insegnamento moderno è nel movimento. Spinge “play” e dal proiettore si irradiano le immagini di un film di animazione in cui i bambini risolvono i problemi dei grandi. Ci riflette mentre ci dice che quando era ingiustamente in carcere per il processo al Sud Ribelle sono state le lettere degli alunni di questo istituto ad averlo salvato. Il collaboratore scolastico Anselmo Santoro è il decano per eccellenza dell’istituto. A volte non condivide i metodi dei maestri più giovani, ma li rispetta profondamente. Fa parte di quella generazione che rimpiange i tempi in cui a scuola e soprattutto a casa l’autorità e il rispetto delle regole erano sopra ogni cosa. Ne fa anche una questione di buoni esempi anche la madre di due ex alunni dell’istituto. Ci racconta perplessa di quanto nelle ultime settimane i grandi giornali stiano snaturando il racconto di questi posti, di come chi ha il potere di farlo non sia più capace di mostrare a tutti le differenze fra bene e male. Rimase presto senza marito e il Troccoli la aiutò a crescere i figli. Ci parla mentre aspetta di poter incontrare la preside perché una di loro, oggi laureanda in Psicologia a Chieti, vuole condurre gli studi di tesi proprio nell’istituto di Lauropoli che l’ha formata prima di vederla partire. Un giorno se ne andrà anche Beatrice, dice che le piace Roma, che la attrae. Vorrebbe fare il chirurgo, qui non ha molto da fare, ogni tanto va in palestra e esce con gli altri compagni, ma se potesse rimarrebbe sempre a scuola. Cosa pensa di chi ha ucciso il piccolo Cocò? Pensa che chi uccide è un assassino.