«Diversi sono gli aspetti meritevoli di ulteriore approfondimento che non consentono un pacificante accoglimento della richiesta di archiviazione».
Con queste motivazioni il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari, Letizia Benigno, ha rigettato la richiesta del Pm, disponendo la riapertura delle indagini per chiarire i dubbi che aleggiano intorno alla morte di Vincenzo Sapia (rileggi la sua storia). Dubbi numerosi, che – sempre secondo il Gip – devono essere «fugati con risposte esaustive e convincenti» nell’arco di sessanta giorni. Nello specifico, il Gip ha chiesto che si faccia chiarezza sui tempi di intervento dei militari che la mattina del 24 maggio 2014 parteciparono a Mirto Crosi, nel Cosentino, a all’operazione di contenimento di Vincenzo Sapia. Di certo c’è solo il tempo intercorso tra la chiamata alla caserma dei carabinieri e quella al 118, circa quaranta minuti, ma non si conosce con precisione quanto sia durato effettivamente l’intervento delle forze dell’ordine. Le versioni finora emerse sono contrastanti e svariano dalla “manciata di secondi” – come sostengono le difese dei carabinieri – al “brevissimo lasso di tempo” del Pm. «Concetti labili», secondo quanto scrive il Gip, che creano «un’incertezza sulla tempistica che nuoce alla comprensione delle eventuali corresponsabilità penali dei militari».
Il giudice ritiene necessario capire con precisione, non solo la durata dell’intervento, ma anche e soprattutto «la durata di ogni singola azione di contenimento (strette al collo e immobilizzazione in posizione prona o supina)». Le incertezze evidenziate dal giudice, però, riguardano anche gli aspetti medicolegali. Le conclusioni del consulente medico del Pm, il dott. Caruso, che escludono completamente l’asfissia, parlando di «arresto cardiaco improvviso da alterazioni elettriche in un soggetto con situazioni patologiche pregresse», non convincono. Ci sono una serie di indizi «non trascurabili» che potrebbero ricondurre la morte ad un caso di asfissia. La cianosi al volto, il colorito bluastro delle ipostasi, la schiuma ritrovata nella cavità orale, l’esistenza di flebili battiti cardiaci riscontrati dal primo medico intervenuto a soccorrere Sapia, sono elementi che meritano di essere chiariti attraverso ulteriori accertamenti.
L’ultimo punto, «il più importante aspetto insufficientemente esplorato» – secondo il Gip Benigno – riguarda l’azione delle forze dell’ordine in base al protocollo operativo che descrive le modalità intervento con persone in evidente stato di alterazione psicofisica, proprio la condizione in cui evidentemente si trovava il giovane Sapia. Le regole cautelative descritte dal protocollo, che indicano la necessità di far intervenire immediatamente i sanitari e di evitare immobilizzazioni in terra o in posizione prona evitando qualsiasi compressione toracica, «vennero violate», perché – come scrive il Gip – Vincenzo Sapia venne «avvinghiato e stretto al collo, tirato per i capelli, immobilizzato a terra sia prono che supino, bloccato dalle spalle e dal torace e gli venne posto un piede sulla testa e sulla schiena». Ancora non si può escludere, dunque, che il comportamento dei carabinieri abbia causato una morte cardiaca. Solo chiarendo tutti questi dubbi il Gip potrà decidere se archiviare o rinviare a giudizio e quindi a processo i militari. Intanto, i parenti della vittima esprimono con cautela la loro felicità. «Oggi abbiamo avuto una splendida notizia – ha dichiarato Caterina Sapia, sorella di Vincenzo – perché la morte di mio fratello merita un’indagine giusta e precisa e anche se la strada è ancora lunga siamo determinati ad andare fino in fondo». Soddisfazione condivisa anche dagli avvocati della famiglia Sapia, Fabio Anselmo e Alessandra Pisa, che hanno visto accolti tutti i motivi di opposizione alla richiesta di archiviazione.